Storia dell’Istituto

Storia dell’Istituto Tecnico Commerciale “Caio Plinio Secondo”
a cura del Prof. Alessandro Picchi
 

AVVERTENZA

Quando il mattino del 3 maggio 1986 (giorno destinato alla commemorazione ufficiale del 120^ di fondazione del Plinio) il preside portò l’imprevedibile notizia della scomparsa del prof. Salvatore Grandi, non ci furono dubbi sulla decisione di non sospendere la manifestazione pomeridiana che in tal modo poteva diventare l’occasione tempestiva per un ricordo dell’illustre e caro Scomparso; rimasi però perplesso per le cose che mi ero proposto di riferire sul vecchio preside, dato che il taglio del mio intervento non avrebbe rinunciato ad un tono scherzoso. Decisi di non cambiare niente e all’auditorio presente a Villa Gallia precisai che preferivo ripensare al mio preside così a tutto rilievo, a chiaro‑scuro, cioè con la sua personalità che era costituita da lati simpatici e da altri che forse ci piacevano di meno: di tutto questo è però fatta la figura di un uomo; un discorso funebre che intendesse limare gli spigoli del carattere di un personaggio, ne avrebbe consegnata un’immagine falsata e certamente piatta.

Il pubblico fu d’accordo, per cui viene qui di seguito riportato il mio intervento così come fu esposto. Rimando ad una Postfazione alcune aggiunte relative a care figure legate alla vita dell’Istituto, colmando in tal modo alcune mie involontarie dimenticanze e completando, se non la storia, certo la cronaca del Plinio dal maggio all’autunno dell’anno in corso.

 Ci è stata posta la domanda, quasi con tono di rimprovero, del perché si celebri il 120^ anno di fondazione dell’Istituto, anziché attendere, almeno, il compimento del 125^. Rispondo che anche nel passato altre occasioni celebrative furono trovate indipendentemente da scadenze centenarie o cinquantenarie, ad esempio il 75^ o il 90^ di fondazione, che offrirono anche il motivo per la pubblicazione di appositi annuari. Questo per dire che le ricorrenze possono essere innumerevoli nella storia di un’istituzione.

Potrei dire scherzosamente che l’anno celebrativo 1985‑86 può segnare anche la data del ventennio della mia docenza al Plinio ed il trentennio di permanenza della Sig.ra Pisani Terzi, che (sembra sicuro) a settembre concluderà la sua attività d’insegnamento chiudendo veramente un’epoca.

Ma, volendo ritornare seri e rievocando la storia di una scuola di cui faccio parte, posso confessare di ritrovare e rivivere (come di sicuro altri colleghi) la mia stessa storia nella storia dell’Istituto, rintracciare nomi di amici, di conoscenti e di parenti; incontrare figure importanti o semplicemente cordiali della vita nazionale e cittadina.

Quelle che sto per esporre sono forse cose già sapute attraverso l’Annuario del Centenario; io non posso certamente cambiare la storia, ma qualche notizia ignota può essere riscoperta, soprattutto consultando direttamente relazioni e verbali scolastici, stesi quasi sempre di malavoglia ed invece fonti preziose per conoscere il passato.

L’Archivio dell’Istituto, oggi collocato nello scantinato dell’edificio scolastico, ha qualcosa di straordinariamente triste: pacchi contenenti verbali ed atti d’esami che possono aver deciso della vita di molti studenti; sacchi di compiti in attesa di andare al macero, che sono costati forse fatica e certo trepidazione; giornali di docenti e, solenni nelle loro dimensioni, i così detti registri perenni. C’è qualcosa di funereo in quel locale silenzioso, dove sembra che i morti vogliano parlare. E lasciamoli dunque parlare.

La fondazione di un Istituto Tecnico a Como risale al I ottobre 1865, quando, su proposta del Ministero di Agricoltura, Industria e Commercio, il Re Vittorio Emanuele II firmò l’apposito decreto di costituzione. Già dal 1860 il governatore per la provincia di Como, Lorenzo Valerio, s’interessava per l’Istituzione di un Istituto Tecnico Professionale; ne discussero i Consigli Comunale e Provinciale, fino all’intervento decisivo dell’apparato statale che istituì un Regio Istituto Tecnico a Como unitamente a quelli di Cuneo e di Sondrio. In base ad una normativa del 1864 gli Istituti Tecnici comprendevano diverse sezioni specialistiche, adatte alle particolari esigenze locali; quello comasco ebbe la sezione di Commercio e Amministrazione, Meccanica e Costruzione, Setificio. Tale ordinamento trovava un diverso assetto quando, nel novembre 1866, alla ripresa delle lezioni dopo la parentesi della Terza Guerra d’Indipendenza, il Ministero dell’Agricoltura sopprimeva la sezione di Setificio per sostituirla con una sezione di Agrimensura e di Agronomia. Un’ulteriore sistemazione si ebbe con decreto del 23 ottobre 1871, quando la sezione di Costruzione e Meccanica lasciò posto a quella Fisico‑Matematica, mentre veniva soppressa quella di Agronomia. Il medesimo decreto recitava che “a spese della Provincia e del Comune di Como viene annessa all’Istituto Tecnico una sezione industriale, con speciale applicazione al Setificio”. Tale sezione veniva statalizzata nel 1873 e assumeva la denominazione di Sezione Industriale di Tessitura, comportando anche la costruzione di ambienti adatti ad alloggiare i telai ed altre apparecchiature tessili.

Le tre sezioni trovarono sede al piano terra del così detto Palazzo degli Studi, dove oggi è ancora collocato il Liceo Classico, mentre la Regia Scuola Tecnica (non l’Istituto Tecnico!) si trovava nella zona di via Carducci ed è scomparsa da più di un trentennio, almeno in alcune sue ali. Qualcuno ricorderà che si accedeva da via Giovio a via Carducci per un passaggio coperto, ricavato sotto una parte delle così dette Scuole Commerciali. Il resto dell’attuale via Carducci nel lato verso viale Battisti, allora chiamato della Circonvallazione, era occupato da un vasto cortile per gli esercizi ginnici e militari, dove si trovava pure una tettoia per il tiro a segno ridotto.

Una planimetria allegata alla Relazione dell’Istituto Tecnico di Como per l’anno scolastico 1893-94, stesa dal preside e diretta alla Giunta di Vigilanza che aveva il compito di sorvegliare l’andamento didattico, disciplinare e finanziario dell’Istituto e della quale il preside era un componente, ci mostra la dislocazione delle aule e dei laboratori, in parte attorno all’antico chiostro del convento di Santa Cecilia, in parte lungo il viale Battisti nell’area oggi occupata dalla Scuola Media Parini che non è altro che la sede dell’Istituto Tecnico a partire dal 1919, e in parte ancora lungo il citato cortile per gli esercizi di ginnastica. Ce li descrive così la Relazione del preside Ponci per l’anno 1902-03:

·      6 aule per le lezioni, quattro delle quali ben rischiarate;

·      Un vasto laboratorio chimico con gabinetto che serve anche d’Ufficio al Preside (naturalmente si tratta di un gabinetto scientifico)

·      Un gabinetto di Fisica non esisteva alla data di fondazione dell’Istituto,   costringendo gli alunni ad usufruire di quello del Liceo Classico, creando non pochi inconvenienti, finché un giorno si arrivò anche alle mani con i liceali che alloggiavano al secondo piano e all’insulto: “Barabitt”. La pace fu poi stipulata con il dono di un serpente boa (impagliato), radiato dall’inventario del Liceo Volta, che per anni fece mostra di sé, avvinghiato ad un falso vegetale, fuori dalla Presidenza.

E continuiamo:

·      Un’ampia aula per le lezioni di tessitura meccanica e di disegno.

·      Un opificio di tessitura ed un altro tipo “shed” (cioè un capannone a cuspide con lucernari dall’alto).

·      Un gabinetto di storia naturale, definito alquanto ristretto ed oscuro.

·      Una palestra, in condominio con il Ginnasio‑Liceo e la Scuola Tecnica. Era la famosa “topaia” che molti della mia età possono aver frequentato e che attualmente è ancora utilizzata dagli alunni della Scuola Media Parini (è posta sotto il portico del Liceo, accanto alla chiesa di S.Cecilia).

·      Una sala d’aspetto per i professori;

·      Una sala d’aspetto per le alunne;

·      Locali per il bidello e il custode;

·      Una scuola di disegno collocata al primo piano sopra l’opificio di tessitura a mano.

Ma ritorniamo alle origini. Le lezioni iniziarono nel gennaio 1866 con 51 alunni e 3 uditori. Il primo preside incaricato fu don Domenico Bianchi, un vecchio di 76 anni, che lasciò dopo pochi mesi la direzione dell’Istituto al prof. Giovanni Monzini, docente di estimo ed agronomia, al quale subentrò nel 1872 come titolare il prof. Luigi Ponci, originario di Venezia dove la sua famiglia era proprietaria della famosa farmacia S.Fosca, e professore di chimica nell’Istituto, cattedra che egli volle sempre mantenere fino al pensionamento avvenuto nel 1911. Morirà in tarda età nel 1924. Il figlio Carlo, divenuto poi ingegnere, frequentò la sezione Fisico‑Matematica del nostro Istituto, diplomandosi nel 1904. La figlia Lina, morta circa un decennio fa, abitava nella mia stessa casa. Persona squisitissima (era figlia di una De Orchi, perché il prof. Ponci era suocero di Luigi De Orchi, per anni sindaco di Como e presidente della Fabbriceria del Duomo) aveva accolto con una punta di compiacimento il fatto che insegnassi nella scuola di suo padre e penso di aver avuto il tempo di dichiararle che ero anche subentrato al posto che fu suo.

L’intitolazione dell’istituto a Caio Plinio Secondo avvenne nel 1883. Oggi suona strana questa scelta di un personaggio che poco o nulla ha da vedere con il campo delle scienze economiche e commerciali e molto invece con le scienze naturali, ma queste, si è già potuto vedere, erano particolarmente curate nell’Istituto Tecnico cittadino. Il laboratorio di tessitura, diretto dal prof. Pietro Pinchetti, svolgeva un servizio prezioso di consulenza e di orientamento per gli opifici locali. Autore di molte pubblicazioni e di un celebre manuale del tessitore, Pinchetti seguiva costantemente quello che avveniva all’estero e, come diceva il preside Ponci, aveva ” sempre di mira di mantenere la scuola all’altezza del progresso industriale”. Fu sempre lui a tenere fin dal 1878 conferenze tecnico-illustrative sulla fabbricazione della seta, nei giorni festivi. Nell’anno scolastico 1882-83 fu creata la scuola di tessitura per operai al fine di preparare abili tessitori e buoni capi-fabbrica attraverso un biennio di corsi serali e domenicali.

La scuola fu fondata con il concorso della Camera di Commercio, del Comune e dell’Opera Pia Baragiola.

Le capacità tecniche dell’Istituto ebbero il loro riconoscimento  in occasione di diverse esposizioni; in quelle universali di Parigi del 1872,’78,1900 l’Istituto venne sempre premiato con medaglie d’oro. Mi sono chiesto che cosa mai potesse esporre il Plinio: erano in prevalenza campionature di tessuti, disegni tecnici inerenti all’arte della seta, ma anche pubblicazioni di docenti. Così avvenne per l’Esposizione Voltiana del 1899 a Como, dove fra le altre cose venne esposto uno sterminato assortimento di pile (una a base di cloruro di ferro era stata ideata dal prof. Ponci), ma tutto andò perduto nel terribile incendio dell’8 luglio.

Accanto al laboratorio di chimica al quale pure ci si rivolgeva dall’esterno per diverse analisi, c’era il gabinetto di storia naturale, già definito “alquanto ristretto ed oscuro”, dove lavorò dal 1890 al 1920 il prof. Attilio Lenticchia, che si occupava di bacologia e di botanica. Proprio su pressione del docente si ottenne dal Comune nel 1892, la concessione dell’area della citata piazza per gli esercizi ginnici e militari, di un appezzamento di terreno coltivabile: ne risultarono due scompartimenti, il più lungo con 48 aiuole dove il Lenticchia (nomen omen!) impiantò gli esemplari di almeno 60 famiglie di piante con il vantaggio, scriveva il preside

“di portare in iscuola le piante ancor fresche che gli

alunni devono analizzare e descrivere da sé stessi,

senza l’aiuto del libro, sottraendosi così ad un

noioso e poco produttivo lavoro di memoria”.

(Poi saremmo noi gli inventori delle nuove didattiche!)

Il secondo riparto accoglieva le piante principali della flora comense. Ponci scriveva a proposito:

“Esso potrà dare agli alunni una idea generale della

flora del loro paese e permettere di conservare le

specie più rare. Già vi attecchirono buon numero di

piante trasportate dai vicini monti di Brunate, dal

Bolletto e dal Bollettone”.

Nell’anno scolastico 1894‑95 si pensò ad organizzare una piccola “libreria”, cioè una biblioteca per i prestiti ad alunni, i quali con i professori contribuirono volontariamente nel dono e nel prestito momentaneo di volumi. Anche quella che diventerà nelle scuole italiane un’istituzione sclerotizzata, assunse al Caio Plinio l’impronta familiare e libera, senza che venisse chiesta un’apposita approvazione dalle autorità scolastiche, proprio perché, si spiegò, “più spontaneo e meno difficile venisse lo sviluppo di tale istituzione”. Nacque così la Biblioteca Alunni (non è che prima di quella data non si acquistassero libri e riviste per uso didattico) poi un giorno intitolata a Cesare Battisti, e che fu aperta in alcune ore della settimana, compresa talvolta anche la domenica. Nel corso dei decenni i prestiti superarono il migliaio all’anno e furono istituiti anche premi per la frequenza, la lettura, la recensione di opere lette. Ponci propose una tariffa di lettura di lire 1 poi salita a lire 5 per procedere all’acquisto di nuovo materiale o alla rilegatura dei volumi. Non mancarono ovviamente le critiche sul provvedimento. Solo in tempi recenti, quando il tenore economico delle famiglie segnò un miglioramento e dall’altra parte vennero potenziate le strutture bibliotecarie degli enti locali, si registrò uno sconfortante calo nelle utenze, che contrasta con l’incremento notevolissimo del materiale bibliografico che oggi si aggira su 20.000 volumi.

All’inizio del secolo l’Istituto con le sue tre sezioni era passato dai 48 alunni del 1872 a 222 iscritti. Ponci (beato lui) relazionava così alla fine del 1901:

“Né tale numero deve destare timore, dappoiché esso è

in stretta relazione coll’incremento delle industrie

e dei commerci della nostra provincia, i quali

richiedono un personale tecnico ed amministrativo

sempre più numeroso, talché i ragionieri ed i periti

serici licenziati da questo istituto non vanno

fortunatamente ad ingrossare la triste falange dei

disoccupati o quella degli spostati, ma trovano

ancora non difficile collocamento. Che le condizioni

industriali e commerciali della nostra provincia

siano notevolmente migliorate dal 1872, lo provano i

seguenti dati statistici: le filande e i filatoi di

seta nel 1872 erano 120 e nel 1901 se ne contavano

261; le fabbriche di tessuti serici, nel medesimo

periodo, da 60 salirono a 120; gli opifici di

tessitura meccanica da 1 a 40; nel 1872 si aveva in

provincia una sola fabbrica di seterie con 50 telai

meccanici, e attualmente questi oltrepassano i 6000;

gli stabilimenti di banca e cambio nel 1872 erano 6

ed ora ne abbiamo 17”.

Era la Como della “belle époque” nel suo pieno sviluppo commerciale e turistico: nel 1875 la linea del Gottardo da Camerlata aveva raggiunto Como nel luogo dove sorgeva il convento domenicano di S.Giovanni in Pedemonte; nel 1885 la città veniva allacciata con Milano da un altro tronco ferroviario che verrà gestito dalle Nord Milano; al ’94 risale l’inaugurazione della funicolare Como‑Brunate e nel 1900 verranno impiantati i primi trams a trazione elettrica. Se gli abitanti di Como nell’anno di fondazione dell’Istituto erano 22.088, nel dicembre 1903 erano 40.664. Como, dirà l’annuario del Plinio nel 1940, stava assumendo importanza nell’economia locale, provinciale e nazionale: di qui la necessità di trovarsi bene attrezzata sia economicamente, sia tecnicamente, sia intellettualmente.

Il settore che più inorgogliva, ma che destava anche preoccupazioni per le sue croniche crisi, era quello della seta.

La sezione industriale di tessitura del Plinio possedeva fin dal 1891 una collezione di almeno 200 tipi di stoffe ideate e tessute dagli studenti; nel 1902 l’opificio annesso era ricco di 30 telai, alcuni dei quali donati da industrie svizzere: 10 manuali, 3 manuali-meccanici e 17 interamente meccanici; per mantenere questi ultimi in piena efficienza l’Istituto lavorava il materiale per alcuni fabbricanti della città. Nell’anno scolastico 1890-91 si erano tessuti 4.000 m. di seta; nel ’93-94, 5.000. La produzione non fu sempre costante, né sempre aumentò in conseguenza delle situazioni di mercato. Nell’anno 1893-94 si erano introitate nell’apposito bilancio dell’opificio lit. 3.481,50 per lavorazioni in conto terzi e lit. 653,35 per vendita diretta di tessuti. Nella gestione 1898-99 l’incasso per lavorazioni ordinate dalle seterie comasche era stato di 5.856,45 lire. Contemporaneamente la frequenza della sezione era salita dai 6 alunni dell’a.s. 1892-93 ai 24 alunni regolari più 36 uditori del 1897-98.

 

L’on. Paolo Carcano, presidente della Giunta di Vigilanza, su suggerimento del preside Ponci, che insisteva per la fondazione di un museo della seta annesso all’Istituto, inviò al Ministero una lettera in data 24 settembre 1904 con la quale chiedeva di arricchire il materiale didattico, di ampliare il programma della sezione industriale di tessitura (dal I ottobre 1892 gli anni del corso erano stati ridotti da 5 a 4 come quelli delle altre sezioni), per porre l’industria serica, che sarebbe stata gestita prevalentemente da tecnici usciti dall’Istituto, in condizioni migliori rispetto alla concorrenza straniera ed al progresso industriale. Carcano chiedeva anche la fondazione di un museo industriale della seta e l’impianto di una scuola di disegno tecnico applicato alla fabbricazione dei tessuti. Nella relazione presentata alla Camera circa un progetto di legge riguardante il trattato commerciale con la Confederazione Elvetica, il governo parlò della necessità di separare la sezione di setificio dell’Istituto Caio Plinio “per farla risorgere, per ingrandirla, per rafforzarla in una scuola maggiore, ammodernata, meglio fornita di mezzi didattici, autonoma”. L’istituzione della Regia Scuola di Setificio di Como fu perciò contemplata dall’art. 3^ del trattato di Commercio con la Svizzera, e fu resa esecutiva con la legge n. 679 del 29 dic. 1904. Personale, arredi, materiale tecnico e didattico, fondi appartenenti alla sezione pliniana passarono alla nuova scuola che era alle dipendenze del Ministero dell’Agricoltura, Industria e Commercio, mentre l’Istituto Tecnico dall’anno scolastico 1878‑79 faceva capo al Ministero della Pubblica Istruzione.

Sarebbe logico pensare alla soddisfazione del preside per avere snellito l’Istituto, invece si parlò drammaticamente di mutilazione, di perdita dei mezzi più necessari di vita e, ancora nel 1930 di “sanguinosa ferita per la separazione di mezzi e di locali”. Effettivamente erano stati asportati una grande quantità di sussidi didattici raccolti nei laboratori, ed anche una parte del patrimonio librario. Gli alunni che passarono nella nuova sede di via Carducci furono circa una quindicina. Più sensibile, a nostro giudizio, doveva apparire la perdita di docenti di valore come il prof. Pinchetti, poi divenuto preside di quello che verrà denominato Regio Istituto Tecnico Industriale e intitolato alla memoria di Paolo Carcano. Rimaneva certo l’orgoglio di avere formato in un trentennio (dal 1875 al 1905) una schiera di validi operatori nel mondo imprenditoriale comasco, i vari Bianchi, Ostinelli, Verga delle nostre tessiture, per non parlare della personalità prestigiosa di un Eugenio Rosasco che si distinse anche per le virtù civiche di animatore dell’Antifascismo e della Resistenza.

Per quanto riguarda il Plinio, ora ridimensionato, ma forse meglio caratterizzato, c’è da ricordare che il prof. Ponci lasciò la presidenza nel 1911. Verrà ricordato solennemente ed affettuosamente nel 1925 (un anno dopo la morte) con la collocazione di una lapide e l’istituzione di una borsa di studio con un capitale di 12.000 lire, ottenuta con una sottoscrizione cittadina, perché il vecchio preside si era effettivamente guadagnata fama e riconoscenza dopo 39 anni di reggenza dell’Istituto e 41 d’insegnamento: Non aveva mai voluto abbandonare il suo gabinetto di chimica, per cui inizia con lui e con il prof. Lenticchia quell’attaccamento a strutture e mansioni che dapprima vengono sopportate come fastidiose ed onerose e che a poco a poco vengono custodite con una sorta di passione gelosa: così sarà del prof. Betto Lotti nei confronti dell’aula di disegno, della Sig.na Maria Corbini ancora per il laboratorio di chimica, per il prof. Ceravolo nei confronti del laboratorio di Fisica e per chi vi parla con la Biblioteca Scolastica.

Subentrò al preside Ponci il prof. Adolfo Ferratini, libero docente di chimica presso l’Università di Sassari, in un governo che durò dal novembre 1911 al settembre 1933. La sua primaria preoccupazione fu quella di ottenere una sede più idonea per l’Istituto: più frequentata era la sezione di ragioneria e commercio che nell’anno scolastico 1906‑07 contava 144 alunni, mentre la sezione di Fisica e Matematica si riduceva a 14 iscritti: la spiegazione fu più volte offerta dal preside con il fatto che questo corso presupponeva necessariamente la continuazione degli studi a livello universitario: scuola superiore di ingegneria, scienze naturali, chimica e farmacia, scuola superiore di veterinaria ed anche l’Accademia Navale di Livorno; era perciò un corso riservato a famiglie di un certo livello economico. Del corso di ragioneria si diceva ancora nell’anno scolastico 1936-37 che era frequentato dai figli della media e piccola borghesia; i ricchi, i possidenti erano infima minoranza.

Nel febbraio 1914 si iniziarono i lavori da parte del Comune per la costruzione di una nuova ala del così detto Palazzo degli Studi che occupava grosso modo l’area del vecchio ufficio Daziario di Porta Vittoria, all’angolo di via Cesare Cantù e di viale Battisti.

Durante gli scavi vennero in luce i resti dell’antica porta pretoria romana e furono sistemati in modo da essere accessibili ai visitatori nello scantinato del nuovo edificio, occupato oggi dalla Scuola Media Parini e ultimato all’inizio del 1915, senza che si potesse ancora realizzare il collegamento fra i nuovi e i vecchi locali. Il palazzo non fu quindi immediatamente agibile; anzi venne requisito dall’Autorità Militare per essere adibito ad ospedale durante il periodo bellico.

Se alcuni studenti del Plinio già nell’anno della fondazione avevano interrotto gli studi per partecipare ai fatti d’armi della Terza Guerra d’Indipendenza, più grave fu il contributo richiesto dal Primo Conflitto Mondiale  ad alunni e a diplomati. Una lapide in loro memoria venne scoperta il 3 novembre 1921 e verrà successivamente trasportata nella sede di via Italia Libera, dove, priva del coronamento bronzo, opera del prof. Aristide Marazzi, insegnante di disegno al Plinio, smarrito o distrutto perché si confuse forse lo stemma di Como, lì istoriato, con quello sabaudo, fu ancorato al muro con brutti ganci e attende dopo vent’anni una definitiva e decorosa sistemazione. Nella lapide figurano anche i nomi di coloro che frequentarono solo per qualche periodo l’Istituto, come Teodoro Mariani o Giuseppe Sinigaglia, i cui meriti sportivi e militari fecero dimenticare che negli anni 1899-1901 aveva ripetuto la prima classe del corso inferiore e nell’anno scolastico 1901-02, come alunno della seconda, era stato bocciato agli esami di riparazione della sessione autunnale riportando 5 in Tedesco e 3 in Computisteria.

Il 30 ottobre 1928, con una delle solite cerimonie tardive alle quali siamo ancor più abituati oggi quando si elargiscono decorazioni per meriti della Resistenza a 41-42 anni dagli eventi, venne concessa ai caduti la licenza di Fisica-Matematica o il diploma di ragioniere.

L’indefesso Ferratini curò anche un bell’Albo d’Onore, in cui comparivano le fotografie, le biografie e le motivazioni delle decorazioni concesse al merito o alla memoria dei caduti. Lo stampò il cav. Cesare Nani, nostro diplomato, che vi lesse le notizie sul figlio Camillo, uscito ragioniere nel ’16, volontario alpino, decorato e morto nel ’20 in conseguenza delle ferite di guerra.

Nel 1917 era scomparso improvvisamente anche il più prestigioso docente di ragioneria del nostro Istituto, Ettore Mondini, nato a Bergamo da genitori comaschi. Non tocca a me illustrare i meriti e l’originalità dei metodi di Mondini; certo fu uomo dotato di eccezionale cultura, di un profondo senso civico, di notevoli capacità didattiche che gli permisero di formare allievi professionalmente completi che giovarono alla fama del Caio Plinio anche su base nazionale. La “Rivista di Amministrazione e Contabilità” da lui diretta dal 1891 al ’17 era considerata anche una gloria editoriale di Como.

Il preside Ferratini commemorandolo il 18 maggio 1929, dirà:

“Il nome di Ettore Mondini rimarrà nella storia della Ragioneria, non solo perché egli sempre intese l’ufficio di ragioniere come una scrupolosa missione di onestà, ma per l’attività molteplice che attraverso agli scritti ed ai lavori professionali, alla scuola, alle cariche pubbliche, ai congressi, alle pagine accurate del periodico che diresse per 37 anni, portò Ettore Mondini ad occuparsi di tutti i problemi che investono la Ragioneria, contribuendo in modo sicuro al suo sviluppo scientifico, per dare ad essa un posto di attualità e di onore tra le discipline sociali”.

L’Istituto raccolse in pubblicazione i discorsi commemorativi, dedicò a Mondini una targa marmorea nell’aula di Ragioneria, a lui intitolata e, attraverso un apposito Comitato, raccolse un capitale di 20.000 lire per l’assegnazione di un’annua borsa di studio.

Nel 1920 Benedetto Croce, allora ministro della Pubblica Istruzione incoraggiò la fondazione di Casse Scolastiche che aiutassero gli studenti bisognosi delle Scuole Medie. Al Caio Plinio un abbozzo di statuto fu approvato nel 1921 e prevedeva l’immediata erogazione di borse di studio di lire 400 da conferirsi a quattro alunni meritevoli e bisognosi, capitalizzando solo una parte delle somme raccolte (nel dicembre 1921 erano 10.382,45) e assicurando il mantenimento delle borse di studio anche per il futuro. Il 14 giugno 1923 la Cassa Scolastica dell’Istituto, su richiesta del Consiglio dei Professori, veniva eretta in Ente Morale e gestì anche le fondazioni Ponci, Mondini e le altre che verranno istituite nel corso degli anni.

A partire dall’anno scolastico 1919-20 le lezioni si svolsero nella nuova sede, restituitaci dall’autorità militare. Dei vecchi locali si utilizzarono il laboratorio e l’aula di chimica, e il gabinetto di Scienze naturali. Nel ’23 entrava in vigore la così detta Riforma Gentile che riordinava l’istruzione media dal ministro definita una “colossale menzogna”: veniva abolita la Scuola Tecnica e l’Istituto Tecnico veniva a comprendere un corso di 8 anni: quattro per l’Istituto inferiore e quattro per quello superiore. La conclusione del corso era sanzionata dagli esami di abilitazione alla professione svolti da commissioni esterne. Il Caio Plinio assume così la sua fisionomia di scuola rivolta a discipline specializzate. La sezione fisico‑matematica, da cui erano usciti uomini che acquisteranno un nome sul piano nazionale e internazionale, come un Giovanni Mantero od un Giuseppe Terragni (diplomati rispettivamente nelle sessioni speciali del 1916 e ’21), veniva abolita e trasformata in Liceo Scientifico: ne diveniva preside un nostro docente, il prof. Andrea Gustarelli. La sorveglianza sulle scuole, secondo lo spirito accentratore del nostro regime, veniva affidata interamente all’autorità scolastica centrale; pertanto veniva sciolta la Giunta di Vigilanza che fin dal 1865 aveva contato fra i suoi componenti persone prestigiose sul piano civico e professionale come l’avv. Giacomo Venini, il sen. Gaetano Scalini, l’on. Paolo Carcano, il dott. Alessandro De Orchi, il conte Luigi Reina.

La vita scolastica sotto il regime fascista procedeva abbastanza sorniona e con molti diversivi piacevoli, quando non capitavano in domenica o nelle feste: commemorazioni, inaugurazioni di bandiere, da quella dei Carabinieri in congedo a quella delle Orfanelle; conferenze, gare sportive, gite scolastiche. Sembrava che fosse scomparsa la fantasia che nel passato animava le infrazioni disciplinari come era capitato a Giuseppe Sinigaglia che prendendo a bella posta alla lettera l’ingiunzione del professore: “Prenda la porta ed esca”, corpulento qual’era, se ne andò con l’uscio dell’aula strappato dai cardini. O quell’alunno di quarta sospeso per l’intero anno dopo aver “inciso parole oscene sul banco che doveva essere occupato da una savissima alunna”. L’adeguata punizione fu presa dal Consiglio dei Professori per impedire che “per l’avvenire le alunne fossero in qualsiasi modo offese nel recinto scolastico”. E quelle drammatiche incomprensioni fra docenti ed alunni? Il 31 gennaio 1893 gli alunni di quarta delle due sezioni fisico-matematica e ragioneria disertarono la lezione di lingua tedesca tenuta dal prof. Alfredo Courtheoux per “avere l’insegnante di questa materia respinti alcuni di essi che si erano presentati in ritardo, usando modi, a loro avviso, inurbani”. Sospensione di una settimana per punizione. La vertenza tuttavia, a testimonianza del preside Ponci, fu inasprita da un articolo apparso sulla stampa locale offensivo per il professore, il quale si rifiutò di continuare l’insegnamento, riprendendolo solo dopo un intervento diretto del Regio Ministro della Pubblica Istruzione. Sarà stata incomprensione di persone o piuttosto antipatia per la materia, fatto sta che nel ’99 lo scontro si riproponeva con il prof. Michelangelo Dell’Antonio che accusava le due sezioni della classe quarta di “modi sgarbati, d’ostinata indolenza” e gli alunni, di rimando, il professore “d’eccessivo rigore nelle classificazioni bimestrali di profitto e condotta”. Anche questa volta dovette intervenire un inviato dalla capitale, il comm. Giuseppe Bardelli. Credo che le divergenze, almeno nel campo del tedesco, si sopirono con l’arrivo nel 1906 del prof. Renzo Giuriani, il cui indimenticabile ritratto ci è stato lasciato da un suo “irrecuperabile” alunno, Pietro Collina in “Fatti e Persone della Como che fu” (1974).

Ma, ritornando alla scuola degli anni Venti, più costruttive erano le commemorazioni di personaggi della storia, delle scienze e delle lettere che imponevano se non altro ai docenti relatori un’opera di revisione culturale e di aggiornamento: erano già state tenute quelle per il centenario della Divina Commedia (1900) per le quali anche il Ministro aveva trovato il tempo di congratularsi con un telegramma; poi verrà il centenario della morte di Volta, il cinquantenario della morte di Garibaldi e si procederà così negli anni: l’ultima celebrazione (per Pirandello) venne tenuta da me nel 1967. Il resto è silenzio.

Altra iniziativa intelligente, anche se veniva da Roma, fu quella rivolta a promuovere un’educazione musicale. I presidi delle Scuole Superiori di Como, fra il ’27 e il ’37 organizzavano almeno cinque concerti all’anno; fra gli esecutori compaiono nomi di persone a me particolarmente care: nell’attività degli anni 1929‑30 incontro mio padre, quasi sempre i fratelli Somalvico: Giacomo, violinista; Giorgio, violista e ottimo concertista; Giuseppe, violoncellista, morto tragicamente nella Guerra civile spagnola. Erano figli dell’ingegner Giuseppe, diplomatosi al Plinio nella sezione fisico-matematica nel 1895, mentre la sorella Luisa era uscita ragioniera nel 1925. Le musiche venivano presentate con introduzioni didattiche e storiche; qualche volta interveniva un critico musicale di valore, come era l’avvocato comasco Aldo Ferloni; ci si serviva quasi sempre del salone Musa dell’Istituto per la Cultura Popolare “Carducci”, presso l’Istituto Magistrale, il quale forniva anche i cori femminili, diretti dalla prof.ssa Mori. Altre volte le manifestazioni si terranno nello stesso Istituto Tecnico. Nel ’36 ad esempio, i concerti furono preceduti da vere e proprie lezioni di storia della musica tenute dal prof. Aurelio Ducati, detto “Paperino”, che insegnò al Plinio dal ’34 al ’65. Morirà nel 1977 e fu sempre un appassionato cultore di musica, divenendo così l’interprete di una tendenza che sarà caratteristica del Caio Plinio, nel quale non capiterà raramente di incontrare docenti che posseggono esperienza qualificata anche in campi del tutto estranei al Loro insegnamento, divenendo loro stessi capaci di interdisciplinarietà. Mi limiterò a ricordare il prof. Attilio Nobile che sconfinava con abilità nel campo delle lettere e della filosofia ed il collega prof. Enrico Ostinelli, all’occorrenza anch’egli metafisico e quotato astrofisico. Erano entrambi docenti di discipline tecnico‑aziendali. Si è discusso e si è tornato a discutere proprio in questi giorni circa l’importanza o meno ai fini didattici dell’esercizio professionale da parte dei docenti di materie tecniche. Per parte mia mi chiedo se non abbia giovato agli alunni l’esperienza esterna alla scuola degli avvocati Fabiani, Gangemi, Berardi, o la perizia commercialistica e fiscale di un Pirondini, di un Cappelletti, di un Mario Marelli. Ma mi chiedo anche quale arricchimento didattico potrà dare un Luigi Cavadini che, matematico, sa anche essere un qualificato critico d’arte.

L’attività concertistica didattica di cui si parlava, continuò ancora al Plinio, con l’intervento spesso di noti concertisti come il pianista Vidusso, fino al 1944, quando nell’Aula Magna dell’Istituto vennero tenute due esecuzioni.

 

Ritorniamo alla storia dell’Istituto. Il prof. Ferratini lasciò la reggenza dell’Istituto nel 1933. Si è sempre osservato che in 67 anni il Caio Plinio (escludendo i pochi mesi della presidenza di Don Bianchi) aveva visto la successione di solo tre presidi che con la lunga permanenza e le vaste attribuzioni che le istituzioni scolastiche di quei tempi consentivano al capo d’Istituto, garantirono una continuità di orientamento e di stile dell’Istituto. Con Ferratini il materiale didattico della biblioteca, dei laboratori era stato notevolmente incrementato. La Cassa Scolastica prosperava ed era stato organizzato anche un museo merceologico. Si era favorita anche l’iniziativa dei corsi liberi per materie giudicate utili o necessarie alla professione e non ancora contemplate dal vigente piano di studi.

Nel biennio 1922-23 fu tenuto un corso di stenografia diretto dalla Sig.na Alessandrina Corti ed il famoso segretario economo Guido Tagliabue nel ’32 tenne un corso per macchine calcolatrici e dattilografiche. Nella sua relazione riguardante quell’anno il preside Ferratini trionfalmente poteva dichiarare che l’Istituto possedeva due macchine calcolatrici (che fanno bella figura nell’aula di Ragioneria in una foto dell’epoca) e 12 macchine per scrivere.

Il successore di Ferratini (il vecchio preside scomparirà tristemente nel 1938) fu il trentino Giuseppe Dal Rì, uomo di valida esperienza dirigenziale (era già stato capo d’Istituto a Trento e a Chiavari). Il nuovo preside si impegnò per raddoppiare il corso inferiore; ci riuscì, ma, in conseguenza dell’aumentata popolazione dovette richiedere un adeguamento delle aule dell’edificio scolastico che, già si è detto, apparteneva al Comune di Como, il quale, senza molti complimenti, nel 1928 aveva dato lo sfratto all’Istituto. L’Amministrazione Provinciale, che non aveva certo l’intenzione e la possibilità di apprestare una nuova sede, concluse allora con l’amministrazione municipale un contratto novennale per il canone annuo di 25.000 lire. Così fra il ’35 e il ’36 si ottenne di far rialzare di un piano l’intero edificio occupato dall’Istituto Tecnico, per ricavare spazi utili anche alla Scuola Commerciale ed alla Scuola d’Arti e Mestieri “Castellini”. Con i nuovi locali a disposizione, il preside Dal Rì poté sistemare e rinnovare i gabinetti di chimica, di scienze naturali e l’aula di disegno che dal 1936 costituì il regno incontrastato di Betto Lotti. Venne realizzata anche una bella Aula Magna, adatta a proiezioni cinematografiche, audizioni e, si è già detto, a concerti.

Con l’approvazione del Gran Consiglio del Fascismo, il 15 febbraio 1939, della Carta della Scuola, l’Istituto Tecnico Commerciale doveva comprendere un corso di cinque anni al quale si accedeva dopo la frequenza di una Scuola Media unica. L’esame di licenza dava diritto al titolo di ragioniere e all’iscrizione alle facoltà di Economia e Commercio, di Scienze Statistiche, Demografiche e Attuariali. Alla facoltà di Scienze Politiche si accedeva mediante un esame integrativo. Nell’anno scolastico 1939-40, anno di inizio della Seconda Guerra Mondiale, gli alunni erano complessivamente 319: 228 per il corso inferiore e 91 per quello superiore.

Molti insegnanti del corso inferiore con l’ultima riforma sarebbero passati alla Scuola Media, la quale mancava di una sede autonoma; così nel 1942 all’estinguersi del vecchio corso inferiore, le sue 28 classi dovettero essere alloggiate al piano terra ed al primo dell’Istituto Tecnico. E non fu una convivenza sempre serena anche se provvisoriamente Dal Rì ne teneva la presidenza, ma egli paventava il giorno in cui la Scuola Media avesse una direzione autonoma; si immaginava gli “inconvenienti inevitabili che nascerebbero da l’essere due i padroni degli stessi ambienti, degli stessi piani, degli stessi gabinetti di decenza”.

Cosa che puntualmente avvenne. I vecchi colleghi integrati nella Scuola Media si sentivano in un certo senso menomati; molte strutture erano davvero in comune. Il prof. Lotti conservò fino al 1948 la sua aula di disegno: controllava scrupolosamente che gli alunni non apportassero ai vasti banchi il benché minimo segno; ma era come se si trovasse in territorio nemico, non solo straniero. E non poté mai accettare il fatto che venisse spodestato da un regno che solo era suo.

La Segreteria era un condominio delle due Scuole: vi dominava grifagno (più di quanto non fosse) l’economo Tagliabue, che a detta del suo successore rag. Casagrande, fino al 1958, arrivava alla scuola di buon’ora e, stando in cima alla scala, controllava di persona l’arrivo dei dipendenti. L’impronta lasciata dal Tagliabue divenne mitica per l’Istituto. “Ma il Tagliabue diceva che…, Il Tagliabue faceva così…” dirà sempre Casagrande ai componenti il corpo dei non docenti, molti dei quali non erano ancora nati quando il vecchio segretario lasciò il Plinio. Morirà qualche anno fa; come un novello Nelson, se non “si scavò la bara”, si preparò con un certo spirito e con indubbia serenità, il proprio annuncio funebre.

Il Secondo Conflitto di per sé non arrecò fortunatamente danni alle strutture edilizie né ebbe conseguenze dirette all’interno dell’Istituto, anche all’epoca della Repubblica di Salò e dell’occupazione tedesca, tranne l’arresto per motivi politici del prof. Ernesto Piazza, avvenuto il 28 novembre ’44. Tutto sommato le lezioni furono abbastanza regolari e l’atmosfera relativamente serena nonostante i drammi e gli inevitabili disorientamenti. Gli iscritti erano decisamente aumentati anche in conseguenza degli sfollamenti dalla zona milanese. Si calcola che nell’anno scolastico ’43-44 su 329 alunni, 162 erano sfollati (e decisamente svogliati e disinteressati) e 195 non abitavano in città, per cui a partire dal gennaio 1945 quando i mitragliamenti aerei rendevano precarie le comunicazioni, la frequenza alle lezioni (riprese solo il 16 gennaio e ad orario ridotto), lasciò spesso a desiderare. Si arrivò finalmente al 25 aprile, definito dal preside Dal Rì,

“auspicato giorno della Liberazione dall’abborrito ed

esecrato dominio nazifascista, che consentiva

finalmente anche alla scuola di ridiventare palestra

di sana educazione morale, civile e patriottica, in

clima di libertà e di responsabilità”.

Veramente non molti anni prima assicurava il Provveditore nei seguenti termini:

“Fu precipuo compito mio e dei professori quello di

istillare ai giovani idee e principi conformi alle

direttive del Governo Fascista e di illustrare loro

l’azione molteplice che esso svolge per l’elevazione

materiale, morale e politica del popolo italiano”.

Che cosa non dice un preside quando parla ufficialmente!

Il prof. Piazza il 27 aprile fu comandato dal CLN a reggere il Provveditorato agli Studi della nostra provincia. L’8 maggio il prof. Ducati, a sua volta, veniva esonerato dall’insegnamento, “epurato” nel gergo d’allora, sotto l’accusa generica di filofascismo. Il suo allontanamento dalle lezioni durò poco.

L’Istituto contò 15 morti al termine della guerra fra i suoi ex alunni, alcuni dei quali ebbero ricompense al valore. A loro, chissà perché, non venne mai dedicata una lapide. Si è pensato unicamente a raccoglierne le fotografie, ma ricorderò sempre il gesto della prof.ssa Carolina Rossi (qualcuno la potrà rivedere traballante sulle gambe con un libro perennemente sotto il naso, quando passava per via) la quale recava immediatamente i fiori che più di una volta noi alunni le avevamo regalato, alla lapide dei caduti del Plinio. In verità venni poi a sapere che il marito cav. Tencalla, commerciante in vini, aveva il raffreddore del fieno e quindi fiori non ne voleva in casa, ma il gesto della moglie penso che fosse autentico. In quella lapide lei leggeva anche i nomi non iscritti degli alunni che aveva avuto al Plinio a partire dall’anno 1928 al ’40.

Il preside Dal Rì lasciò Como il 27 maggio 1946 per diventare Provveditore di Trento.

Fu allora incaricato della presidenza il prof. Enrico Tamanini, altro trentino e professore di Lettere dell’Istituto (il preside Altomare mi fece spesso osservare che nelle occasioni difficili sono sempre i professori di lettere – in quanto meno “fessi” – quelli ai quali si deve ricorrere).

Tamanini tenne l’incarico fino al 1950, quando da Trento dove era preside dal 1938, venne chiamato al Caio Plinio il prof. Salvatore Grandi, un paterno despota, destinato a chiudere la sua carriera nel nostro Istituto nel 1971. La popolazione nell’anno scolastico della sua venuta a Como era di 268 alunni: le aule speciali, i laboratori scientifici, pur aggiornati nei sussidi, erano scomparsi come spazi autonomi, perché la coabitazione con la Scuola Media, anch’essa in espansione e con i doppi turni, aveva costretto a sistemazioni di ripiego. I mezzi finanziari concessi dallo Stato e dalla Provincia erano ancora molto limitati, ma l’attrezzatura tecnica nelle discipline commerciali cominciava ad essere consistente. Nel ’51 si era affiancato un secondo corso; il terzo compariva nel ’60 ed il quarto era già una realtà nel 1964. Il preside Grandi curò con una sorta di puntiglio e di pedanteria gelosa alcuni settori che gli erano particolarmente cari: uno era lo sport, al quale il Caio Plinio si era già dedicato anche in passato senza particolari organizzazioni che non fossero quelle del Regime. Fra il 1953 ed il ’63 l’Istituto si affermò sul piano provinciale anche per opera del prof. Osiride Urbinati, attivo per più di trent’anni al Plinio e proclamatosi collaboratore a tempo pieno del preside anche per settori dove non collaborava un bel niente. Nel ’52 Grandi volle la costituzione dell’Associazione ex Allievi, con il fine di mantenere sempre vivo il patrimonio di amicizia, di affetto, di cultura fra l’Istituto e gli alunni affermatisi nel campo del lavoro e della professione. L’Associazione conobbe poi in un trentennio periodi floridi, alternati a momenti di dispersione, per risorgere e farsi attiva negli ultimi anni.

I rapporti con le famiglie costituirono sempre il grosso problema della Scuola italiana. Ponci scriveva nel 1903:

“E’ certo che tra la famiglia e la scuola non corrono

sempre rapporti di armonia, quali sarebbero

desiderabili per l’oggetto comune delle rispettive

cure. Per timore di compromettere il figliolo, la

famiglia o chi ne tiene le veci, è troppo corriva a

giustificarne le assenze e le mancanze; non di rado

accampa pretese poco ragionevoli; né comprende come

i suoi privati interessi urtino talora coi pubblici

doveri della scuola”.

Nel 1911, per disposizioni del superiore Ministero, vennero istituiti i Comitati dei padri di famiglia. Nella seduta del 5 dicembre, Ferratini doveva già lamentare il modesto numero degli intervenuti. Gli incontri successivi furono assai rari ed i problemi lì agitati abbastanza marginali e ovvii: compiti domestici, uso degli appunti scolastici, passeggiate scolastiche alle quali decisero di intervenire anche padri e madri. Il registro dei verbali si arresta al 15 gennaio 1921; Ferratini utilizzò lo stesso libro per inserirvi, a debita distanza, quelli del Comitato per il Tiro a segno, ma sono sicuro da quanto riportano i giornali, che altre sedute ci furono almeno fino al 1924. Dal preside allora in carica apprendiamo la notizia che a Milano era sorta l’associazione “Per la Scuola”, formata sempre da genitori, anche se promossa dai capi d’Istituto, per svolgere un’azione a vantaggio della scuola italiana grazie all’apporto delle famiglie. Alcuni genitori del Plinio aderirono prontamente alla sezione sorta in Como. Poi tutto tacque. Nel 1957 in città l’iniziativa risorse con “l’Associazione Famiglia e Scuola” che trovò fino al 1962 sede al Plinio: le sue finalità andavano dall’assistenza sanitaria, all’orientamento professionale, alle attività culturali e ricreative, all’assistenza economica. Al Plinio nel ’58 fra le iniziative dell’Associazione si tenne un corso di 10 lezioni ai genitori sull’educazione degli adolescenti. Il preside Grandi, oltre a queste iniziative culturali, fu il propugnatore e l’attuatore delle così dette riunioni “generali” trimestrali, secondo lui tanto “gradite” alle famiglie che in tali occasioni potevano conferire con tutti i professori, i quali, pare che non fossero altrettanto entusiasti, benché il preside sostenesse che soddisfacevano “alle necessità della nostra epoca sociale e dinamica”, incontrando non solo l’approvazione, ma anche l’encomio dell’autorità scolastica. Ci teneva tanto che si sentì obbligato a spostare la data di uno dei famosi incontri per permettermi o, meglio, obbligarmi a parteciparvi, prima che usufruissi del congedo di matrimonio, estortogli all’urlo “in febbraio non ci si sposa!”. Dovetti essere presente alla riunione generale delle famiglie alla vigilia delle nozze per sentirmi dire da Grandi, il quale ispezionava tutte le aule delle udienze, mentre mi batteva la mano sulla spalla: “Questo è un uomo! Domani si sposa, ma oggi ha voluto essere presente ai colloqui con i genitori”. Non riuscii a strozzarlo.

Comunque, per ritornare alle cose serie, Grandi si preoccupò fin dalla sua venuta a Como del problema del reperimento di aule e spazi per far fronte all’aumento della popolazione scolastica. Egli optava anche per una soluzione graduale che poteva prospettarsi con la costruzione di nuove sedi destinate alle scuole che coabitavano con il Plinio. Nel 1953, quando gli alunni del Plinio erano saliti a 375, si poté convincere l’Amministrazione Provinciale ad iniziare le pratiche per la realizzazione di una nuova sede. Il progetto ad opera dell’architetto Fulvio Cappelletti, era approntata nel ’57 (gli alunni erano saliti a 613); l’approvazione relativa avvenne nel 1961 (gli alunni non si sa per quale sortilegio erano scesi a 554) e la fase dell’inizio dei lavori, dopo altri adempimenti amministrativi, iniziò nel ’63 (eravamo a quota 582). L’area adatta fu reperita nella zona del Vecchio Ospedale, alcune ali del quale erano state demolite nell’anteguerra. Ne risultò un edificio a tre piani compreso il piano rialzato, con un quarto elevato solo su una parte dell’edificio, e con un vasto seminterrato. Le aule comuni erano quelle consentite dalle norme vigenti per gli Istituti Tecnici (21); erano contemplate vaste aule speciali a gradoni per la chimica, la merceologia, la fisica, le scienze naturali, con i relativi gabinetti di preparazione, aule per macchine contabili e calcolatrici, una per la steno‑dattilografia, due spazi per le biblioteche, due palestre, un campo esterno per pallavolo e pallacanestro, con una corsia per il salto in lungo, una sala per il Consiglio dei Docenti (oggi Collegio dei Docenti, che nel ’65 erano una sessantina), un ambulatorio medico. A questo proposito bisogna ricordare che fin dall’anno scolastico 1956‑57 diversi presidi di Como si erano accordati per l’istituzionedi un servizio sanitario nell’ambito della scuola, affidato ad un libero professionista e ad un’infermiera diplomata. Lo scopo era quello di operare controlli medici periodici alla popolazione scolastica al fine di compilare ed aggiornare una scheda clinica, per verificare le richieste di esoneri dalle lezioni di educazione fisica, per selezionare i partecipanti alle attività del Gruppo Sportivo, e per interventi di pronto soccorso (un’azione quanto mai utile) e di vigilanza sull’igiene delle aule e degli impianti.

La riforma sanitaria stava per mettere fine a questa preziosa iniziativa, ma al Caio Plinio continuò, in quanto gli oneri vennero assunti dal Comitato Genitori.

Il passaggio dalla vecchia alla nuova sede avvenne nel corso delle vacanze natalizie del 1965. Fu un’impresa memorabile degna del trasporto della capitale del Regno d’Italia da Torino a Firenze, avvenuto cent’anni prima. L’entrata degli alunni avvenne il 19 gennaio 1966, quasi esattamente un secolo dopo l’avvio delle lezioni nella primitiva sede dell’Istituto Tecnico comasco. Nell’anno scolastico allora in corso la popolazione scolastica era di 815 unità per complessive 25 classi, un numero dal quale si evince che le aule normali predisposte nella nuova sede erano già insufficienti. Infatti, a partire dallo stesso 1966, si dovette procedere gradualmente al sacrificio di tutti gli spazi speciali; ultima si salvò l’aula di fisica difesa strenuamente dal prof. Ceravolo; ma era solo un gesto simbolico, perché di fatto quest’aula speciale non faceva che ospitare per le lezioni di tutte le materie una classe del biennio che seguiva anche l’ora di Fisica. Tuttavia Ceravolo poté fino al pensionamento garantirsi l’esclusivo possesso del laboratorio di Fisica, dove si asserragliava fino a farne quasi una seconda dimora.

Non mi soffermo certo ad illustrare il patrimonio tecnico-didattico dell’Istituto, dal famoso LELE (Laboratorio Elettronico Lingue Estere), ai parchi macchine contabili e calcolatrici, spesso entrate in avaria o deterioratesi per essere state scarsamente usate. Ma non è certo un fatto preoccupante: si è sempre osservato che il così detto settore tecnologico è già sorpassato da nuove soluzioni rivoluzionarie al momento in cui un complesso viene impiantato e che gli alunni nel campo del lavoro si troveranno dinnanzi a modelli diversi da quelli in uso nella scuola; è vero, ma gli stessi docenti, spesso accusati di inerzia per non avvalersi di questi sussidi, sanno meglio di me che quello che conta nella scuola è la formazione logica, mentale: per dipendere dalle macchine, c’è sempre tempo e non ne occorrerà molto.

Altro fatto sorprendente è che, mentre ci avviciniamo ai nostri giorni, la storia sembra offrire degli spunti molto meno interessanti di quelli occorsi nell’arco di un secolo. Quali sono stati i fatti notevoli del ’70, anno in cui fu pubblicato l’ultimo annuario dell’Istituto? Non vi farò di certo l’elenco delle coppe vinte in concorso, delle gare sportive in cui si qualificò il Plinio, dei temi europei svolti dai suoi alunni; un’attenzione meriterebbero però le affermazioni ottenute in quindici anni dagli alunni nel corso delle gare nazionali, interregionali e regionali di dattilografia e di stenografia, per merito prima della Sig.na Brunet e poi di quella infaticabile organizzatrice che è ancora oggi la prof.ssa Giampaola Rocchi. Non sono in grado di farvi l’elenco di vittorie e di records, soltanto posso dire che i risultati hanno sempre dimostrato un alto grado di professionalità negli alunni, molti dei quali in questo settore hanno offerto nel lavoro rendimenti lusinghieri.

Ci fu tuttavia un fatto davvero storico, il Sessantotto, l’anno della contestazione che per noi provinciali fece avvertire le sue ripercussioni con almeno due anni di ritardo. Il preside Grandi afferma che il Plinio attendeva lo scontro, che in pratica non ci fu, tranquillo, per aver già introdotto una serie di iniziative utili a venir incontro alle esigenze degli alunni, prima di tutto strizzando l’occhio per lasciarli giocare alla contestazione. Si cominciarono a tenere in orario extrascolastico “gruppi di studio”, in cui ci furono esperienze di lezioni collegiali e dialogate e che spesso si trasformarono in incontri politici. Si autorizzò, prima dell’entrata in vigore dei Decreti Delegati, l’elezione di un Comitato esecutivo fra studenti. Fra i membri del 1968‑69 figurò la nostra collega Carla Ballerini. Patriarca e profeta dell’intero movimento cominciava a configurarsi il prof. Attilio Sangiani al grido di “Fiducia ai giovani” e “La scuola alle famiglie”. Il Ministero da parte sua concesse a partire dal ’70 il diritto di assemblea agli studenti. Le manifestazioni si svolsero al Plinio dapprima con ordine e costrutto, per degenerare presto nel caos e sempre nella perdita di tempo fino alla presidenza Di Martino, quando si optò di comune accordo per la forma dell’incontro culturale o di aggiornamento, insomma per una lezione.

Memorabili i così detti “incontri paritetici” fra preside o suo delegato, insegnanti e studenti, ufficialmente intesi come scambi di opinione sui programmi e metodi di insegnamento e talvolta risoltisi in processi da Guardie Rosse contro gli insegnanti. La zappa non tardò a caderci sui piedi. Nei giorni 12‑13 febbraio 1971 una normale assemblea studentesca si tramutò in una così detta “assemblea permanente”, cioè in una occupazione della scuola. Al preside sarebbe toccato il compito di invocare l’intervento della forza pubblica per fare sgombrare l’edificio. Ma chi ne aveva il coraggio? L’autorità scolastica superiore suggerì di qualificare la sedizione come incontro di gruppi di studio, sui quali gli studenti (figuriamoci!) avrebbero dato relazione. Così il preside Grandi tante volte accusato anche a torto di autoritarismo – si favoleggiava infatti che il moderno impianto di diffusione per tutte le aule funzionasse anche come ricevente per la presidenza (in realtà erano i capiclasse che svolgevano un’egregia opera di spionaggio con il capo d’Istituto) – si trovò di fronte ad un Consiglio dei Professori nettamente diviso: una buona parte dei docenti ora lo accusava senza complimenti di debolezza. Ricordo Grandi, incupito, che si aggirava per i corridoi e che senza mezzi termini disse che non voleva alcun festeggiamento per il suo prossimo pensionamento da parte di simile gente. Era davvero la fine di un’epoca. Il preside non poteva più contare sulla propria autorità e sul proprio personale prestigio, né sulla protezione dall’esterno, né sulla riconoscenza degli alunni, che egli aveva paternamente sempre difeso, purché non si trattasse di manomissioni alle suppellettili dell’Istituto: allora un giorno di sospensione c’era per tutti. Chi gli fosse subentrato doveva fare i conti con una realtà scolastica completamente diversa, anche se gli Organi Collegiali non erano stati ancora istituzionalizzati.

Grandi volle l’espansione dell’Istituto anche come forza educatrice. Con l’anno scolastico 1967‑68 iniziò a funzionare la sezione staccata di Erba. Non esisteva ancora quella trappola con funzionamento a sorpresa che è l’odierno Distretto Scolastico, ma la linea organizzativa che si voleva seguire era già quella del decentramento, utile per venire incontro alle esigenze di particolari aree; in questo caso la Brianza. Lo stesso avvenne per la zona del centro‑alto Lario quando, nell’ottobre 1969, fu attivata la seconda sezione staccata di Menaggio. A Como infine già per l’anno 1966‑67 veniva autorizzata istituzione di un corso serale nella sede centrale. Per fortuna non venne accolta e rimase una pura utopia l’ingrandimento del Plinio per accogliere una sezione per Geometri, un corso di studi che anche oggi non esiste in Como. Eccettuato il corso serale il quale ad un progressivo incremento, confortato anche dalla positiva resa degli alunni e dalla presenza di validi professori (appartenevano in maggioranza al corso diurno), farà seguire una decrescita fino alla sua melanconica estinzione, le due sedi di Erba e di Menaggio segnarono, quasi per un’alchimia incontrollata, un aumento vistoso fino a trasformarsi in due piovre maligne.

Io penso che il preside Grandi, se mi ascoltasse, avrebbe tanto spirito per avvertire il tono scherzoso usato per richiamare alcune vicende della sua satrapìa, tanto più che gli sono debitore di una particolare ed affettuosa considerazione che egli mi dimostrò sempre, nonostante le puntate critiche e gli abituali suoi rabbuffi. Gli va riconosciuta spassionatamente la signorilità con cui egli si accomiatò dal “suo” Istituto, giacché fino a poco tempo fa non si riuscì mai a separare il nome del Plinio da quello di Grandi. Non vi rimise più piede, come un novello Cincinnato, convinto che i presidi come i re, regnano uno alla volta. Per anni tuttavia faceva un fugace rientro alla vigilia di Natale per porgere gli auguri al personale non docente.

Gli subentrò il vicepreside Vittorio Altomare, un inimitabile burlone che si fece gioco di tutto e di tutti e fece lavorare tutti, anche quelli che si illudevano di fare quel che loro piaceva alle dipendenze di un simpatico collega. Fu lui ad insegnarmi il mestiere di preside, quando mi chiamò a sostituirlo, impegnato in esami, nel gennaio 1973: “Conta, mi disse, fino a quaranta prima di prendere una decisione”, ma aggiunse anche, “Poi avvallerò tutto quello che farai”. Certo erano anni in cui si trattava di sopravvivere più che di inventare nuove iniziative, premuti da situazioni che rischiavano di precipitare. Erano problemi di spazi da reperirsi nelle sezioni staccate. Quella di Erba era già distribuita su due sedi; nell’ex filanda, poi caserma delle Guardie di Finanza e ora sede di Menaggio, ogni anno bisognava ricuperare qualche ambiente, qualche struttura e adattarla alle esigenze dell’aumentata popolazione.

L’Istituto dal I ottobre 1969 aveva ottenuto l’autonomia amministrativa, ma l’attuazione del provvedimento si ebbe a partire dal 1971.

Apparentemente era l’acquisizione di una libertà maggiore di gestione dei fondi, nella sostanza rappresentava anche un ulteriore aggravio di responsabilità per il preside.

Quando Altomare ci lasciò nel 1973, eravamo rammaricati e perplessi per l’imminente arrivo di un preside di ruolo come Giacometti. Avevamo lavorato per un biennio, ma ci eravamo anche divertiti, persino in quel tetro organo di governo che era il vecchio Consiglio di Presidenza, perché di fronte a problemi urgenti, gonfiati dalla demagogia di quegli anni, c’era sempre la battuta di Altomare a risollevare lo spirito e a ridimensionare quasi tutte le difficoltà. Quando Giacometti si presentò al primo Consiglio dei Professori, dichiarò solennemente che dopo le esperienze difficili alla direzione di un colosso com’era l’Istituto Mosé Bianchi di Monza, la situazione del Caio Plinio era per lui “di tutto riposo”.

E’ difficile condensare in poche parole l’opera e la personalità di Giacometti, mobilissima come era quella di uno che non stava mai fermo nemmeno fisicamente. Ma, avendo ereditato di necessità alcune pratiche da lui avviate o essendomi dovuto adattare a situazioni da lui escogitate, posso dire che non ci fu nessuno che come lui si movesse con consumata abilità e scaltrezza nei meandri delle disposizioni di legge, come nello slalom gigante uno sciatore olimpionico che non salta una porta. Tenne buoni tutti, dal segretario, all’Amministrazione Provinciale, ai docenti, ai bidelli, senza mai alzare la voce, usando una sua mimica particolare d’occhi e di mani, dicendo in italiano o in comasco: “Ti capisco, hai ragione!” e facendo sempre quello che lui aveva già deciso.

Sotto di lui avvenne quel fatidico evento che fu l’applicazione dei Decreti Delegati, ma Giacometti non si scompose. Un gruppo di docenti paventava che gli organi collegiali diventassero strumento di controllo e di repressione anche individuale; un altro sognava probabilmente di piegarli al proprio servizio e tutti facevano a gara per entrare nel Comitato di Valutazione, la cui attuale composizione penso che sia ignota allo stesso preside. Esprimendo alcune mie perplessità a proposito, Giacometti si appoggiò allo schienale della sua poltrona di comando, inspirò il fumo della sua sigaretta, ne emise una voluta e sentenziò: “In democrazia ci si conta”. Sono convinto che riuscì a dare scacco matto anche al Consiglio d’Istituto allora presieduto da quell’uomo dabbene che è l’architetto Alberio, così come imbrogliò me, perché, giunto il momento del suo anticipato pensionamento in virtù della legge per gli ex combattenti che devastò la scuola italiana più della bomba atomica, segnalò a mia insaputa al Provveditore il mio nome come quello del suo successore. Riuscii a parare momentaneamente il colpo offrendomi spontaneamente per la candidatura a collaboratore vicario. L’unica persona adatta a rivestire l’incarico di presidenza, andato deserto perché nessuno voleva cavalcare un mostro che aveva raggiunto alla fine del ’75 le 2353 unità, era momentaneamente indisposto. Si trattava del prof. Mario Levi, un gentiluomo che cammina come se seguisse mentalmente il ritmo musicale della marcia degli alpini e che, all’incontrarlo, accenna sempre ad un saluto militare, mentre nulla ha di militaresco. Si addivenne ad una soluzione di compromesso: venne chiamato alla presidenza il prof. Flower Ercolani, un nostro docente proprio in quei giorni trasferito all’Istituto Magistrale. All’apertura dell’anno scolastico 1975‑76 il Plinio, non solo aveva due sedi distaccate ingigantite e turbolente, ma attivava in città anche due succursali. Ercolani non prendeva alcuna decisione senza avermi al suo fianco, per cui il grido “Picchi, Picchi” echeggiava per tutto l’Istituto. Egli si trovava come uno che fosse costretto a pilotare un Jumbo Jet, senz’altra esperienza che quella di aver visto per caso al cinematografo qualche manovra operata nella cabina di pilotaggio. Se non perdette “le vene e i polsi”, nella sua ansia e nella sua profonda onestà e consapevolezza, il sonno lo perdette di certo, per cui rassegnò le dimissioni per motivi di salute nel dicembre 1975.

Quando fui convocato dal Provveditore, sapevo già di che cosa si trattava; venni accolto come colui che poteva salvare l’intera nazione e accettai l’incarico di preside. Giacometti dal canto suo mi regalò l’ultimo consiglio: “Se ti capita di ricevere una donna in presidenza, ricordati di tenere sempre aperta la porta”. Consiglio scrupolosamente osservato non solo con le signore, ma anche con qualche collega.

Sarebbe qui inopportuno ricordare opere e momenti del mio incarico tenuto fino al settembre 1977. Dirò soltanto che, ricorrendo ai buoni uffici di quell’onestissimo politico e uomo di scuola che è il senatore Luigi Borghi, si riuscì a convincere il Ministero ad aggregare la sezione d’Erba all’Istituto Tecnico di Merate eretto in scuola autonoma nell’anno scolastico 1976‑77; riuscii anche a compiere un giorno una certa variazione di bilancio che entusiasmò lo stesso segretario Casagrande; inventai l’orario unico, aggiungendo la sesta ora di lezione in alcuni giorni della settimana, per evitare i rientri pomeridiani e risolvere i problemi legati alla necessità di ricorrere ad una mensa; curai con una comprensione, direi umana, le esigenze del personale non docente, convinto che in un esercito sono più preziosi i sottufficiali degli stessi ufficiali; non riuscii invece a capire che la scrivania del preside possedeva anche due antine anteriori che la potevano trasformare in bar. Se non venni rimpianto da tutti, quando rientrai nelle file dei docenti, lasciai, a quel che si dice, l’impressione di un uomo imparziale e sostanzialmente onesto.

Dopo lo strapotere degli insegnanti di lettere (tali erano Altomare, Giacometti, Ercolani e Picchi) l’incarico per gli anni scolastici 1977‑78, 1978‑79 fu assunto da un docente di materie scientifiche, dotato di esperienza in fatto di direzione scolastica, l’attuale preside dell’Istituto Tecnico Magistri Cumacini, prof. Francesco Bardi. “Io sono un chimico” ripeteva spesso ed un giorno mi spiegò il rapporto fra macchine a vapore, funzione dei docenti e loro scarsa retribuzione finanziaria, un rapporto che a dir la verità non sono riuscito a ben capire.

La prima operazione che Bardi fece, fu un accurato esame al gabinetto di chimica, praticamente trascurato dopo il pensionamento della prof. Maria Corbini, ispezione in seguito alla quale egli rovesciò in un lavello il contenuto di svariati flaconi. Io e l’aiutante tecnico Ballerini, rimasti sotto schock a seguito di un telefilm in cui un chimico sbadato aveva effettuato qualcosa di simile con conseguenze terrificanti per le fogne di Londra, per qualche mese fummo presi da legittimo timore di veder comparire nel seminterrato del Plinio un topo grosso come un convoglio della metropolitana.

Comunque con la presidenza Bardi anche la sezione di Menaggio si staccava raggiungendo l’autonomia. Nel settembre 1979 Bardi assumeva la reggenza dell’Istituto Ripamonti e gli subentrava l’attuale preside Antonio Di Martino.

Eravamo riusciti a battere un record. Il Plinio dal 1865 al 1971 in 86 anni dunque, aveva avuto sei presidi; in 5 anni dall’anno scolastico 1975‑76 al 1979-80 ne avevamo avuti addirittura quattro.

E un altro torto degli ultimi presidi era stato quello di aver conferito un’impronta di particolare serietà educativa e disciplinare all’Istituto, per cui nel confronto delle situazioni non molto quiete di alcune scuole secondarie della provincia di Como, il Plinio rappresentava una specie di isola felice alla quale le famiglie ricorrevano e continuano a ricorrere anche se spesso i loro figli non sono in possesso di tutte le qualità necessarie a percorrere con successo il curriculum del nostro Istituto. Di qui, pur nel contesto generale delle difficoltà che si incontrano nel passaggio dalle scuole inferiori a quelle superiori, la percentuale alta di bocciature nel primo anno ed il titolo meritatosi dal preside Di Martino di “boja di Como”.

Quando il nostro preside assunse la reggenza, prima come incaricato e poi come titolare in qualità di vincitore di concorso, l’Istituto poteva definirsi governabile e contare finalmente sulla possibilità di una conduzione omogenea. Esistevano ancora due grosse succursali, è vero, ma Di Martino con opere di adattamenti e di sistemazioni murarie ottenne la progressiva riduzione e la pratica scomparsa della Succursale n.1 di via Sirtori e conferì a quella di via Rezia, già sede del Liceo Scientifico, una quasi autonomia interna.

Un gravoso impegno fu invece rappresentato dall’apertura in Mariano Comense a partire dall’anno scolastico 1982‑83 di una nuova sezione, comprendente un corso per ragionieri ad indirizzo amministrativo e due sperimentali, rispettivamente ad indirizzo linguistico e chimico‑biologico, un complesso che nel corrente anno conta 648 iscrizioni e 30 classi.

Il Plinio è sì una madre premurosa, ma vorrebbe che queste sezioni distaccate che essa ha allevato, come bimbi svezzati se ne andassero per la loro strada. Pare che il Ministero, preso da compassione, proprio in questi giorni si sia dimostrato disponibile a riconoscere la maggiore età della sede di Mariano.

Riassumere l’attività del Plinio negli ultimi sette anni è un’impresa troppo lunga, perché si dovrebbe parlare della vasta organizzazione turistico‑sportiva, delle affermazioni ottenute nel campo dei concorsi stenografici; mi limiterò a ricordare una realizzazione della quale fui parte in causa e che sembrò riallacciarsi ad una vecchia attività dell’Istituto: l’organizzazione di una mostra commemorativa per il XIX Centenario della morte di Plinio il Vecchio, al cui nome rimase intitolato l’Istituto, anche quando si ridusse alla sola sezione di ragioneria, ma si sa che i due Plinii furono anche avveduti amministratori delle proprie e delle altrui sostanze. Con i colleghi Cavadini e Piazzoli organizzammo una mostra documentaria sulla Como romana, pubblicando anche un opuscolo relativo. Le due iniziative furono molto apprezzate e giudicate un interessante apporto al quadro delle manifestazioni pliniane del 1979.

E ci avviamo a concludere. Ma prima è giusto fare memoria dei colleghi scomparsi dopo il 1970, perché degli altri l’Annuario del Centenario ha già potuto farne la doverosa celebrazione.

Ricorderò il prof. Betto Lotti, un grande artista, passato alla Scuola Media, ma per diversi anni appartenuto all’organico del Plinio di cui fu anche vicepreside e per il quale apprestò la copertina dell’Annuario 1940. Scomparve l’anno stesso della morte del prof. Attilio Nobile (1977), docente di ragioneria dal 1944 al 1962, figura caratteristica con il suo pizzo e l’ampio basco che lo facevano simile a tutto tranne che ad un professore di discipline aziendali. E non posso dimenticare dopo la Sig.na Fernanda Monti Giocosa, passata all’Istituto Magistrale, il giovane collega Eugenio Ritter, deceduto improvvisamente in Francia nell’estate 1980. Scomparve anche il prof. Federico Barresi, a lungo assente per un male incurabile e le cui domande di aspettativa o congedo si sapeva che non potevano concludersi se non con un congedo definitivo dalla vita. Ci ha lasciato anche il prof. Leone Pessina, dal 1950 al 1969 docente di Lettere sul Corso A, e quindi mio predecessore, a proposito della bontà del quale la perfida Corbini ebbe a dire in una seduta di scrutinio: “Non sei un Leone, sei una tigre, ma di carta!”. Imprevedibile la morte della prof.ssa Amelia Bonanata, perita tragicamente nel 1983, appena raggiunta la pensione. Era la fine di giugno la scuola era ormai chiusa e i docenti erano quasi tutti impegnati negli esami di maturità o dispersi nei luoghi di vacanza. Sparì così, silenziosamente, dopo aver riempito il Caio Plinio delle sue simpatiche ciarle che avvalorava, menando urtoni nello stomaco dei suoi interlocutori, o meglio ascoltatori, perché parlava solo lei. E come dimenticare il prof. Giuseppe Morasca, deceduto lo scorso anno, a lungo docente validissimo di matematica nell’Istituto, entusiasta europeista, probo amministratore della cosa pubblica? Ultimo ci ha lasciato negli scorsi giorni il prof. Renzo Perego, per anni docente di dattilografia nella sezione di Menaggio; un uomo che nel Collegio dei Docenti disse sempre una parola sensata.

Dovrei congedarmi con gli auguri al Caio Plinio, usando quelle belle parole di cui era maestro il preside Dal Rì, esortandolo ad essere sempre e di più palestra di virtù morali, civili, di disciplina e di scienza, proprio in questi anni nei quali la sua pronta risposta alle nuove tecnologie è stata l’istituzione di tre sezioni per ragionieri programmatori, ma mi voglio limitare ad un semplicissimo augurio:

Caro Plinio, guardati da qualsiasi riforma scolastica che snaturi la tua funzione professionale. Tu devi formare esclusivamente dei Ragionieri, perché anche uno dei tuoi alunni più illustri, Francesco Casnati, prima di essere un gran letteratone, è stato un ragioniere.

Dacci dei ragionieri che non facciano attendere il cliente al bancone, per la paura delle informazioni che potrebbe chiedere; dei ragionieri che non dicano che l’isola di Haiti si trova nelle vicinanze delle isole Haway, perché occorre conoscere la Geografia, se non altro ai fini delle tariffe della posta aerea; dei ragionieri che sappiano scrivere una corretta lettera commerciale, non in tedesco, ma in italiano; dei ragionieri che sappiano che è esistito Dante Alighieri e che ha scritto 34 canti per il suo Inferno, 33 per il Purgatorio e altri 33 per il Paradiso e che tutti insieme fanno 100 canti, senza chiederlo ad un computer, perché potrebbe mancare la corrente elettrica e sarebbe allora un bel guaio: i computers a vapore infatti non sono stati ancora inventati.

 

POSTFAZIONE

Non si erano ancora spente le risate e gli sbadigli dei partecipanti alla commemorazione, quando qualcuno mi fece garbatamente osservare che avevo trascurato i nomi di illustri personaggi legati alla storia del Plinio. La risposta all’obiezione fu presto data: il mio excursus intendeva completare quanto era già stato compreso nei precedenti annuari e non ripeterlo, pertanto i curricula degli ex allievi famosi erano già stati proposti nella pubblicazione del centenario. Tuttavia mi accorsi solo allora di avere dimenticato alcune figure che avevano fatto parte della vita dell’Istituto. Molti professori del Plinio sono come colombacci da passo: rimangono per qualche tempo da noi e poi migrano verso altre sponde; alcuni sono invece come piccioni viaggiatori che a distanza di anni tornano al vecchio nido. Così avevo trascurato di menzionare il prof. Mario Moretti, detto Gregory Peck per una certa qual somiglianza con l’attore americano, somiglianza a cui questo docente di Educazione Fisica che con Urbinati aveva diviso vittorie ed onori in agoni sportivi, teneva palesemente. Si spense ad Assisi nella primavera di quest’anno.

Aveva prestato servizio prima nella sezione staccata di Menaggio e poi nella sede comasca anche il prof. Marco Erba, morto prematuramente nell’inverno scorso a seguito di un male incurabile. Non minore rimpianto ha lasciato la scomparsa del preside Vincenzo Restuccia, già nostro insegnante di scienze, avvenuta nel settembre 1986.

Sul personale non docente ho già detto qualcosa nella relazione: si tratta di persone molte volte umili, spesso dotate di capacità sorprendenti che hanno sempre segnato una continuità di presenza e di servizio nella vita dell’Istituto. Purtroppo anche fra questa componente abbiamo dovuto registrare in quindici anni dei vuoti dolorosi.

Alla morte del vecchio custode Lanati avvenuta nel dicembre 1975, si aggiunse nel ’79 quella di Luciano Molina, persona attiva e riservatissima, eletta dal segretario Casagrande a custodia della Presidenza. Del Sig. Molina citerò alcuni semplici episodi che ne possono delineare la personalità. Chiuse delicatamente la porta dell’ufficio del preside il giorno in cui urlai sgangheratamente cercando di afferrare per il collo un’alunna femminista e contestatrice (l’uscio era aperto in ossequio al precetto giacomettiano, dato che l’interlocutrice sembrava tutto sommato una donna) e difese in tal modo la dignità del capo d’Istituto; raccolse come se fossero reliquie i calcinacci che rovinarono a terra il giorno in cui sferrai una pedata alla porta dell’ufficio per cui l’intera intelaiatura si scosse e il muro si crepò. L’indomani l’intero intonaco era sistemato senza che Molina avesse ricevuto alcun ordine in proposito. Ma l’immagine più viva e illuminante è nel cimitero di Faggeto Lario: quella di Molina che piange sinceramente commosso sulla fossa dove stava calando la bara del suocero. Quel giorno mi dissi che il signor Luciano non solo era un ottimo dipendente, un bravo artigiano, capace di mille lavori di falegnameria, ma soprattutto una persona buona.

E come dimenticare Angelo Mazza, pervenuto al Plinio dopo strani maneggi e misteriosi spostamenti del personale di cui sola era capace l’Amministrazione Provinciale? Dapprima quasi sopportato, si rivelò ottimo esecutore e trovò la benevolenza di tutti, particolarmente dopo la tragica scomparsa del giovane figlio: un colpo dal quale Mazza non si riebbe più. Il Plinio poté festeggiarlo con simpatia in occasione del suo pensionamento. Infine due recentissimi e dolorosi lutti.

Nell’agosto si spegneva anch’essa combattuta e vinta da un male inguaribile, la prof.ssa Giuseppina Grassi, docente validissima che seppe unire alla severità dell’insegnamento una grande dedizione per i suoi alunni; fedele alle sue idee e principi, fu in grado di trovare un perfetto accordo con colleghi altrettanto seri di fede e pensieri diversi dai suoi ed ebbe tanto spirito e bontà da sopportare perfino le intemperanze di un Rinaldo Crippa. Ci lasciò nel 1979 per passare alla cattedra di filosofia del Liceo Volta, un insegnamento che fu il coronamento della sua vita di docente.

Chiude questa mesta serie il prof. Mario Levi, dal 1957 al ’78 nostro docente di Lettere e vicepreside negli anni 1971‑75. A quanto già fu detto nell’excursus storico aggiungo soltanto che il prof. Levi non solo rappresentò per anni una figura di primissimo piano nel Caio Plinio, ma fu sempre e soprattutto uomo sapiente e buono. Durante le esequie svoltesi nella chiesa di S.Donnino il 24 settembre 1986, vedendo gli occhi lucidi di molti ex allievi, invidiai sinceramente il prof. Levi al pensiero che forse i miei alunni preferiranno danzare sulla mia tomba.